La maratona… in salsa di soia. Storie di giapponesi alle prese con i 42km
Lunedì scorso, tra lo stupore generale, il giapponese Yuki Kawauchi ha trionfato nella maratona di Boston: l’atleta nipponico da anni fa registrare tempi straordinari sulla distanza “regina”, ma la vittoria conseguita in Massachusetts è certamente l’apice della sua carriera. La particolarità è data dal fatto che Yuki sia a tutti gli effetti un amatore, dato che lavora come impiegato statale (nella prefettura di Saitama), tanto che gli è stato assegnato il soprannome di “the citizen runner” ovvero “il corridore cittadino”.
Kawauchi ha vinto molte maratone (oltre 30), ma il primo posto a Boston gli ha permesso di entrare in quella élite di atleti capaci di vincere una “major marathon” (almeno una tra Tokyo, Boston, Londra, Berlino, Chicago e New York): è conosciuto anche per aver infranto recentemente il record di maratone corse in meno di 2h20′, con il 2h15’59” di Boston è giunto a 79 (Doug Kurtis fermo a 75).
I giapponesi e la maratona hanno varie storie da raccontare, oltre alla favola di Yuki. Il personaggio più famoso è certamente Shizo Kanakuri, autore della peggior prestazione mondiale sulla distanza. Scopriamo perché.
Shizo Kanakuri partecipò alla Maratona Olimpica di Stoccolma 1912 grazie ad una raccolta fondi organizzata per potersi permettere le spese di viaggio (18 giorni partendo da Tokyo) ed alloggio e si presentò in Svezia da favorito, dato che era il detentore del record del mondo dell’epoca. In un clima torrido (e senza ristori, vietati all’epoca), Shizo iniziò la sua gara sulla distanza di 40,2km (il perché lo scoprite qui), fin quando intorno al 30° km uno spettatore gli offrì da bere un succo e lo invitò a riposare qualche minuto in casa. E avvenne l’irreparabile: Shizo si addormentò su una poltrona e si risvegliò solamente dopo molte ore, a competizione terminata. La storia ha però un lieto fine: a 50 anni dalle Olimpiadi, la tv svedese mandò un proprio inviato a Tokyo per cercare lo sfortunato atleta e, nel 1967, Shizo fu invitato a Stoccolma per concludere la maratona. Ebbene sì, ripartendo dalla famosa casa (quella con la poltrona comoda) il 76enne percorse gli ultimi chilometri e fece fermare il cronometro in 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi: semplicemente leggendario.
Il Giappone ha anche un campione olimpico sulla prestigiosa distanza, anche se qui la vicenda è molto controversa: parliamo del fenomenale Sohn Kee-chung, presente negli albi mondiali come Son Kitei.
Nel 1936 le Olimpiadi si svolsero in Germania ed il Giappone presentò una squadra fenomenale per la maratona, ma i due portacolori erano in realtà coreani: all’epoca la penisola di Corea infatti faceva parte dell’Impero Giapponese. Sohn Kee-chung corse e vinse (col nuovo record olimpico), mantenendo le promesse della vigilia (era detentore del record mondiale), ma durante la cerimonia di premiazione non sollevò mai la testa e nelle interviste ribadì più volte di sentirsi coreano. L’altro atleta, Nam Sung Yong (in gara come Shoryu Nan) giunse terzo, facendo così risplendere il Sol Levante sul podio olimpico ma evidenziando anche la discriminazione perpetrata nei confronti del popolo coreano. Per anni la Corea del Sud ha chiesto che la vittoria fosse assegnata alla patria del maratoneta (che, teoricamente, sarebbe nato nell’attuale Corea del Nord), ma la rivincita c’è comunque stata: nel 1988 Sohn è stato l’ultimo tedoforo alla Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi di Seul e nel 1992, ormai ottantenne, ha potuto assistere alla vittoria a Barcellona del sudcoreano Hwang Young-cho che, grazie ad una accelerazione al 40° chilometro, riuscì a staccare l’avversario diretto, proprio un giapponese (Koichi Morishita). Quando si dice il destino…